PER PERUGINI NOTTE FONDA

03/07/2007

 

L’autorevole distinguo dei giorni scorsi operato dal Presidente Sammarco non può, come qualcuno vorrebbe, passare sotto silenzio.

Senza troppi giri di parole Sammarco, con la schiettezza che lo contraddistingue, dice ciò che pensa: questa amministrazione, ad un anno dal suo insediamento, non ha realizzato i tanto auspicati cambiamento e rinnovamento promessi in campagna elettorale.

Le riflessioni di Sammarco fanno il paio con i reiterati appelli che vengono da sparuti settori della maggioranza come dell’opposizione a dar vita ad un governo della città realmente condiviso che ponga fine alle tante emergenze presenti e trasferisca alla gente, in modo inequivocabile, un progetto per la città ed i suoi abitanti. Un progetto nel quale prevalgano gli interessi collettivi, le proposte di sviluppo, l’affermazione dei diritti e dei doveri di ognuno.

Non c’è l’intenzione di tirare Franco Sammarco per la giacchetta, voglio però ribadire che in più occasioni la mia parte politica, forse sbagliando nei modi e nei tempi, il dialogo lo ha cercato.

In diversi, nei nostri interventi, nelle nostre esternazioni, nelle nostre attività consiliari abbiamo provato a rappresentare il disagio della gente comune nel vedere un certo ceto politico impegnato più nell’autoreferenziarsi che nel costruite sviluppo per la comunità

In diversi abbiamo evidenziato come la gente percepisca i consiglieri: impegnati a pensare solo agli onori della politica - ed il capitolo dell’indennità è un esempio -  che non agli oneri da essa derivanti. Un ceto politico che ha interpretato l’appartenenza ad un gruppo non come confronto sulle cose da fare ma come mera contrapposizione di schieramenti dove chi ha il voto in più impugna lo scettro del comando o esegue le aprioristiche chiusure che il signorotto di turno impone.

Ma le critiche non possono non coinvolgere quanti  avendo più importanti responsabilità di governo hanno consentito tutto ciò. Chi doveva e poteva prodigarsi affinché le cose andassero in un altro verso ha forse più responsabilità degli altri. Chi doveva sul ragionamento e sulla dialettica imbastire il nuovo corso, e si è lasciato trasportare dalla convenienza del momento, non può non essere additato come responsabile di questo stato di cose.

Sammarco fa capire nel suo jaccuse che nessuno può chiamarsi fuori. Lo fa dall’alto della sua storia personale per non confondersi con chi fa della politica una scorciatoia per la notorietà e il successo. La professione lo ha già gratificato e chi, come lui, vive condizioni simili sa bene cosa si prova a dover prender atto che le cose non vanno come dovrebbero e che poco o nulla si fa per cambiarle.

Il Presidente intravede anche il rischio latente che queste contrapposizioni finiscano con il minare inesorabilmente la fiducia dei cittadini verso l’istituzione comunale, perché se chi non ha nulla da chiedere alla politica si piega ai suoi compromessi, la residua speranza che un giorno qualcosa possa cambiare si spegne definitivamente.

Noi, come lui, avvertiamo questo amaro disagio. Noi, come lui, alziamo la testa per gridare che occorre cambiare per non restare omologati in questa rappresentazione farsesca della politica.

Questo disagio forse avrebbero dovuto rappresentarlo i suoi amici di partito o di coalizione. L’invito a restare presidente sarebbe dovuto arrivare da chi lo ha voluto capolista dei DS nella scorsa competizione elettorale promettendogli chissà quale impegno a favore della città.

Ma il silenzio assordante che accompagna la decisione di Franco Sammarco di lasciare il prestigioso incarico, svolto ad onor del vero con equilibrio e imparzialità, lascia sgomenti quanti pensano che cambiare si può.

Non nascondiamoci. Le dimissioni da presidente del penalista cosentino arrivano al momento giusto per soddisfare l’appetito di qualcuno del costituendo Partito Democratico che nel gioco delle spartizioni si candida fin d’ora al suo posto.

Noi, in cuor nostro, speriamo che Franco Sammarco possa ritornare sui suoi passi, anche se ci intriga molto immaginarlo al nostro fianco in trincea. E allora, per Perugini, sarà notte fonda.

 

Sergio Nucci